Ho atteso invano e nessun commento su IPTV parte 1.
Peccato.
Via con la parte 2.
...dicevamo che i bit "potrebbero non essere tutti uguali".
Infatti si discute della regolamentazione della IPTV (in tutte le sedi).
E' un servizio che appartiene al mercato televisivo (TV) o al mercato dei servizi a banda larga (IP)?
La risposta dipende molto dal valore che diamo ai bit.
Se li consideriamo aggregati a formare contenuti, possiamo avvicinarci alla normativa TV.
Se li consideriamo per quel che sono, dati, stiamo sicuramente parlando di servizi a banda larga.
In questo processo forse trascuriamo che la IPTV non fornisce un servizio meramente televisivo e, allora, è comunque attinente (anche) al mercato dei servizi a banda larga.
Le conseguenze dell'uno e dell'altro percorso non sono indifferenti.
Un esempio?
Quote pubblicitarie si/no.
Un altro?
Fasce protette per la programmazione dei minori si/no.
Un altro?
Applicabilità della direttiva e-commerce.
Questo il tema. Un tema pesante. Che richiede commenti.
Sotto quindi. Parliamone. Incoraggiate il mio esperimento.
Eugenio
Salve. Non sono certo un esperto di IPTV, ma genericamente non sono molto d'accordo nel tentare di ricondurre nuovi metodi di comunicazione all'interno di parametri e standard già esistenti.
La domanda che di solito mi pongo è: " se lo faccio quali vantaggi mi porta? "
Le quote pubblicitarie ad esempio, sono una necessità della TV nata dall'esistenza di un duopolio che di fatto catalizza la totalità delle risorse. Con l'IPTV ci sarà lo stesso problema? se si, forse non è meglio impedire che succeda, visto che siamo alla nascita, con sistemi più efficaci, come la rete unica tanto cara a Stefano Quintarelli ad esempio?
Posted by: Felter Roberto | January 20, 2007 at 12:31 AM
Roberto hai ragione; a tendere e' cosi'.
il problema e' la transizione.
non si puo' buttare il bambino con l'acqua sporca.
non si possono togliere le regole sulla TV perche' "in futuro ci sara' Internet e basta"; le regole sulla TV devono essere aplpicate per la tv tradizionale che per adesso e per molti anni a venire sara' ancora maggioritaria.
Allora c'e' un problema di regolamentazione edl transitorio che e' esattamente cio' che si stanno ponendo come questione a Bruxelles nella direttiva TV senza frontiere.
Ovviamente sara' un quadro in evoluzione.
Pero' le leggi arrivano con lentezza ahime, e la cosa importante e' evitare che qualcuno se ne possa approfittare per costituire posizioni monopolistiche.
Senno' rischia di non esserci un problema di duopolio...
Posted by: Stefano Quintarelli | January 20, 2007 at 10:47 AM
Aggiungo una osservazione sui bit, che approfondiro con un post.
IP separa network da service.
le compagnie hanno la necessita' di scegliere:o netco o servco. non riusciranno a fare entrambe
chi fa netco puo' solo muovere bit: logistica.
i bit possono essere di 3 tipi
1) best effort
2) sicuri
3) garantiti
best effort=internet
sicuri=danaro
garantiti=servizi sincroni machine to machine (per l'umano basta il best effort sovradimensionato e un po' di buffering)
Posted by: Stefano Quintarelli | January 20, 2007 at 10:50 AM
ciao Eugenio,
queste tue considerazioni sono senz'altro un punto critico da (cercare di) mettere meglio a fuoco
>Alcuni tuttavia affermano che "i bit sono tutti uguali", questo è molto vero da un punto di vista astratto e tecnico.
>Non è vero da un punto di vista regolamentare.
>Sarebbe come dire, facendo un paragone con i trasporti, che "i veicoli che circolano sulle strade sono tutti uguali".
ed in particolare
>Certo, hanno tutti un motore e ruote ma ciò che trasportano (persone o merci, legalmente o illegalmente, per profitto o per svago) cambia molto le regole che ad essi si applicano.
corretto: le regole per i veicoli a motore tendono in generale a tutelare:
- l'incolumità delle persone/merci trasportate
- i perimetri competitivi
ma le strade non discriminano l'accesso di quel o quell'altro mezzo alla viabilità pubblica
chi gestisce le strade, cioè il nastro d'asfalto (comunali, provinciali, nazionali, autostradali) si può definire nella metafora tlc una "net-co"
chi gestisce un servizio basato su ruote (dhl, tassisti, nolleggiatori, ..), una server-co
se manteniamo distinti i ruoli allora è più facile affrontare il discorso. Se ragioniamo in modo verticalmente integrato la cosa si aggroviglia.
Le televisioni nella loro accezione tradizionale sono l'integrazione tra produzione/aggregazione di contenuti e l'infrastruttura di trasporto e distribuzione all'utenza.
Chiunque in passato si sia dilettato a metter su una radio o una tv privata se lo ricorda bene, l'operazione significava non solo allestire gli studi, le regie, gli speaker ed i dischi, ma anche acquisire e gestire antenne e trasmettitori. E quindi non solo competere con la qualità dei contenuti, ma anche con la capacità di illuminazione del territorio. Ovvero combattere a colpi di watt del trasmettitore (e sul numero dei ripetitori/frequenze, quindi watt aggregati). Cioè competere sull'accesso e sfruttamento della risorsa scarsa, l'etere, il gotomarket.
E per la tv oltre a tutto ciò, c'è (c'è stata, i giochi oramai son stati fatti) anche la competizione per una risorsa ancora più scarsa: i pulsanti del telecomando.
E' evidente che riuscire a regolamentare in modo equo e non discriminatorio una tale situazione è un'operazione pressocchè impossibile. Perchè l'integrazione verticale complica di per se le cose, e perchè la regolamentazione è intervenuta ex-post rispetto allo stratificarsi e cementificarsi dei problemi. Le radio e tv private sono nate in un momento di totale vacanza regolatoria, sia per gli aspetti tecnici (frequenze, potenze, licenze, ..) che antitrust (pubblicità, ..).
Ricordiamoci che più scarsa è una risorsa (scarsità naturale o artificiale), maggiore è la probabilità di oligopolio o peggio di monopolio.
La situazione sarebbe stata molto diversa se, già all'epoca si fosse potuto tecnicamente e previsto regolatoriamente, un'obbligo di separazione tra l'esercizio di una rete di trasporto (i ripetitori e le frequenze) e l'attività di editore radiotelevisivo, (e magari anche della raccolta pubblicitaria).
Osservo inoltre che la scala graduata delle frequenze dei vecchi ricevitori fm dove si doveva girare la manopola spostando l'indice per sintonizzarsi su un emittente, garantiva ovviamente un maggior pluralismo del telecomando, perhcè consentiva la sintonizzazione casuale su molte altre/nuove emittenti mentre si era alla ricerca di quella preferita. (sulla rete tale libertà è rappresentata dai motori di ricerca. I portali invece, come ad esempio "rosso alice" sono più simili ad un telecomando tv, pochi slot per i contenuti)
Allora, tutto ciò per dire che, forti dell'esperienza passata sulla tv tradizionale, per evitare la monopolizzazione tecnologica e/o editoriale dell'IPTV, è importante, sul piano regolamentare:
- obbligare l'obbligo di separazione societaria/proprietaria tra infrastrutture di gotomarket (reti wireless, reti cablate), prodotti editoriali e servizi over-the-net (l'iptv è interattiva, non solo contenuti ma anche servizi di vario genere)
- obbligo di interoperabilità sulla catena tecnologica (per evitare monopoli sui sistemi di fruizione e di immissione in rete dei contenuti e servizi)
- particolari attenzioni su garanzie di apertura ed interoperabilità delle EPG (per evitare fenomeni di "oligarchizzazione del telecomando").
Posted by: Guido Tripaldi | January 21, 2007 at 02:15 PM
Guido hai colto un punto importantissimo!
Molti problemi regolamentari sono causati dal ritardo di questo paese nel rendere possibile la separazione delle reti (soprattutto televisive) dai fornitori di contenuti/editori televisivi.
Fino alla Legge Mammì ed alla Legge Maccanico, l'editore era il soggetto che deteneva l'infrastruttura.
Per fare un palinsesto bisognava avere le antenne.
Non vorrei che con l'IPTV si ricadesse nello stesso errore, lasciando a chi detiene l'infrastruttura la totale gestione dei contenuti (peraltro in violazione della neutralità tecnologica).
Posted by: eugenio prosperetti | January 22, 2007 at 12:32 PM
Sulla necessità di separare network da service sapete che sono assolutamentamente d'accordo, la verticalizzazione del mercato rischia di "premiare" rendite di posizione e intermediazioni che non hanno reale valore aggiunto (anzi erodono risorse al mercato)nel migliorare i servizi o i contenuti. Credo però che Eugenio con i suoi due post stia cercando di farci ragionare su una problematica fondamentale: la convergenza richiede di armonizzare regolamentazioni nate in contesti estremamente diversi fino a pochi anni fa. Cerco di banalizzare il discorso: il broadcast televisivo opera in un regime di concessione che gli impone obblighi sia come operatore di rete (interconnessione, sistema universale, ecc.) che come editore (programmazione in fasce protette, affollamenti pubblicitari, ecc.). Supponiamo ora che io sia un editore che opera su più piattaforme e che per esempio proponga canali lineari sia su IP che via broadcast. Siamo in periodo elettorale le norme sulla par conditio valgono certamente per i canali broadcast ma valgono per i miei canali IP? E ancora, se faccio un canale ip per bambini posso inserire la pubblicità di un alcolico? Ho volutamente fatto due esempi forse un pò limite, ma credo che la discussione aperta da Eugenio sia fondamentale e trascende o meglio si aggiunge a considerazioni altrettanto importanti quanto quelli dell'accesso e della interoperabilità.
Posted by: Roberta E. | January 23, 2007 at 12:39 AM
Quello di Roberta è un'altro ottimo spunto, evidenzia con il suo esempio l'esistenza di regole a tutela del pubblico e della pubblica opinione.
La domanda quindi è, al cambiare del paradigma tecnologico, come devono essere adeguate le regole al fine di garantire sempre e comunque adeguata tutela al pubblico finale?
O non c'è bisogno di cambiarle (magari solo correggerle un po') perchè i principi generali rimangono validi a prescindere dal paradigma tecnologico sottostante?
Nell'esempio, Roberta cita la tutela della par-condicio. Provo a far una disamina pensando a voce alta:
- l'obiettivo delle norme sulla parcondicio è garantire pari visibilità delle forze politiche in gara rispetto ad un dato pubblico (ovvero il pubblico raggiunto/raggiungibile da un emittente radio/televisiva e/o soggetto editore più in generale.
se non sbaglio (Eugenio, correggimi!) la norma colpisce indistintamente le radio e televisioni nazionali di tutte le dimensioni, ovvero sia quelle grandi con posizioni dominanti, sia quelle piccine a carattere locale, nonchè gli editori della carta stampata. Ovvero chiunque offra spazi pubblicitari sulla propria pubblicazione è tenuto a rispettare la parcondicio. Ovviamente con le debite eccezioni, ovvero le testate registrate esplicitamente come organi di partito.
provo ora ad esaminare le condizioni al contorno che giustificano tali norme:
- un editore con la propria offerta editoriale costituisce un punto di attrazione per il grande pubblico, in quanto seleziona ed aggrega contenuti interessanti per il pubblico difficili/impossibili/scomodi da raggiungere altrimenti;
- un editore possiede (in proprio, in outsourcing, ..) una filiera distributiva (etere, cavo, carta stampata, .. e sistemi annessi e connessi) in grado di raggiungere/esser raggiunto, dal target di popolazione raggiungibile con quel canale distributivo;
- l'unione delle due cose rappresenta per gli inserzionisti, una piattaforma attraverso la quale poter veicolare i propri messaggi pubblicitari;
- tale piattaforma (summa di offerta+filiera) rappresenta un monopolio locale, per il quale non vi devono essere discriminazioni all'accesso;
- ergo, ogni qual volta vi siano le medesime condizioni al contorno, ovvero una piattaforma di gotomarket con caratteristiche di monopolio locale abbinata ad un'offerta commerciale di accesso a detta piattaforma, la medesima dev'essere offerta a condizioni eque e non discriminatorie a qualsiasi soggetto interessato ad utilizzarla. In particolare deve garantire l'accesso a tutte le fonti informative "sensibili" cioè che possono influire sull'assetto democratico o politico del Paese, sulla morale e l'etica delle persone, sulla loro incolumità e salute.
- altri elementi al contorno da considerare sono relativi alle probabilità con la quale target sensibili (come ad esempio i minori) possono essere raggiunti: laddove un'offerta editoriale abbia un'elevata probabilità che venga fruita da un target sensibile, allora vanno applicate le norme a tutela di quel paricolare target. Non sono importanti le modalità con le quali si massimizza la probabilità, quel che conta è la probabilità in se.
Ad esempio, per i contenuti broadcast lineari, si massimizza la probabilità di raggiungimento di un target minorile:
- scegliendo contenuti tipo cartoni animati, etc..
- programmandoli in fasce orarie dove tipicamente il pubblico minorile è a casa con la tv a disposizione (tipicamente la fascia pomeridiana, come noto)
questa modalità implica di un certo numero di spettatori minori simultaneamente aggregati all'interno di un certo arco di tempo.
Ma il medesimo numero di spettatori minori lo posso raggiungere per tramite di contenuti on demand, magari gli stessi cartoni animati ma fruiti in modo non necessariamente sincrorno con altri spettatori. Ma il target che così si raggiunge è (potenzialmente) il medesimo per tipologia e quantità.
Se tali considerazioni sono corrette, allora, probabilmente, si può evincere che se è vero (come non so se è vero) che quello che conta sono i principi generali succitati, allora certe norme devono essere applicabili ogni qualvolta si manifesti la fattispecie, a prescindere dalle sue modalità e dal mezzo trasmissivo.
as usual, imho
G
Posted by: Guido Tripaldi | January 23, 2007 at 04:26 PM
Vorrei portare alla vostra attenzione un passaggio normativo (ovviamente nascosto un po' tra le righe) del ddl Gentiloni. Il quale stipula l'obbligo di aprire le proprie piattaforme ai soggetti in monopolio (vedi telecom Italia) sulla tv via web solo nell'ambito delle trasmissioni lineare. Con il ché si elimina ab initio tale obbligo in merito alla business legato alla trasmissione interattiva (la vera anima dell'IpTv). Un bel regalo per Telecom, non c'è che dire. Vittorio Carlini -giornalista finanziario -
Posted by: vittorio carlini | January 24, 2007 at 12:34 AM
Il ragionamento di Guido è molto lineare ma arriva ad una conclusione che potrebbe far insorgere il mondo della Rete. I limiti oggi validi per l'editore broadcast valgono anche per "chiunque" pubblichi in Rete. Ma quello che Hilary sta facendo su web lo potrebbe fare via broadcast?
Il vero punto è, come dice Eugenio, che sistemi pensati e "normati" per essere punto punto sono diventati punto multipunto (cellulari) e che la Rete è diventata una modalità di distribuzione punto multipunto "ad editorialato" diffuso. Il mondo della comunicazione è diventato più complesso e sarà un grande lavoro ripensare i criteri di tutela ed anche quelli di pluralismo.
Riguardo al commento di Vincenzo, l'articolo 10 (mi pare che sia questo) del ddl Gentiloni mi sembra possa prestarsi a molte interpretazioni. Certo non risolve la chiusura delle reti IPTV che oggi sono "blindate".
Posted by: Roberta E. | January 24, 2007 at 02:12 AM
Roberta,
>l ragionamento di Guido è molto lineare ma arriva ad una conclusione che potrebbe far insorgere il mondo della Rete. I limiti oggi validi per l'editore broadcast valgono anche per "chiunque" pubblichi in Rete.
concordo, l'estremizzazione delle mie considerazioni porta a quanto dici, ma solo per chi pubblica sulla rete in qualità di editore e che offra spazi inserzionistici a pagamento. Verrebbero quindi, a mio avviso, esclusi tutti i blog, i siti personali, i siti aziendali, e comunque tutti i siti che, pur essendo prodotto di un editore, non offrano spazio ad inserzionisti.
>la Rete è diventata una modalità di distribuzione punto multipunto "ad editorialato" diffuso.
assolutamente sì. Il bello della rete è proprio questo, garantisce la miglior forma di pluralismo informativo. Chiunque, potenzialmente, può far opinione, non necessariamente solo gli editori. Ancora di più grazie alla larga banda e gli strumenti per il fai-da-te televisivo, webtv o iptv che sia (o che sarà). Però secondo me va sempre fatto il distinguo tra chi fa contentuo sulla rete (blog, videoblog, webtv, iptv, ..) come iniziativa personale per comunicare la mondo le proprie opinioni, rispetto a chi lo fa come attività editoriale industriale e chi utilizza lo strumento editoriale come piattaforma per veicolare pubblicità. In questi e soli due ultimi casi (che coincidono quasi sempre) dovrebbero scattare una serie di obblighi particolari, a prescindere dalla tecnologia di distribuzione e forma editoriale.
>Il vero punto è, come dice Eugenio, che sistemi pensati e "normati" per essere punto punto sono diventati punto multipunto (cellulari)
concordo, la cosa si risolve secondo me spezzando l'integrazione verticale: chi ha una rete non può far l'editore (o content provider) e viceversa. La regolamentazione dovrebbe andare in questa direzione, altrimenti come dicevo nel primo post di questo thread, la complessità e tale che gestire in modo adeguato il pluralismo e l'equilibrio degli obblighi tra i vari soggetti è impossibile (la complessità oltre un certo grado non si domina..)
Vincenzo tocca un punto importante: la vera potenza dell'iptv è l'interattività (che non è solo l'ondemand, ma si estende a tutti quei servizi interattivi a corredo di un canale o di un contenuto). Guai se la legge consente blindature, esse sono il portone dei monopoli.
Posted by: Guido Tripaldi | January 24, 2007 at 11:22 AM
Oooops, chiedo scusa, nel post precedente ho scritto "Vincenzo" invece di "Vittorio".
Scusami Vittorio!
Posted by: Guido Tripaldi | January 24, 2007 at 11:24 AM
Intervengo, con ritardo, su due punti. Eugenio dice:
>i bit "potrebbero non essere tutti uguali".
MI pare che la direzione sia quella. Considera che i router di nuova generazione fanno proprio questo, distinguono i bit a seconda del livello di Qualità del servizio richiesto (nel caso di alice, priorità 5 per telefono oner IP, priorità 3 per video (nella versione "walled garden"), 0 per traffico Internet (web, mail, P2P, ecc.).
Con riferimento alla Net Neutrality, è indubbio che, una volta cambiati i dispostivi di smistamento dei bit, i Network potrebbero utilizzare il meccanismo per "ricattare" i content e service provider web-based. (es. se paghi, prioritarizzo l'accesso ai tuoi contenuti, altrimenti ...).
Punto due. Regolamentazione del contenuto.
Eugenio dice:
>E' un servizio che appartiene al mercato televisivo (TV) o al mercato dei servizi a banda larga (IP)?
Sarò ingenuo, ma mi pare che la riscrittura della Tv senza frontiere, distinguendo tra servizi lineari e non lineari, a prescindere dalla piattaforma di distribuzione, contenga in sé la risposta.
I canali lineari saranno regolati come tali (obblighi più stringenti, minori, violenza, sesso), mentre il video on demand, sarà regolato come 'non lineare'.
Troppo semplice?
PS. Per la pubblicità (parlo dell'affollamento orario), essendo la IPTv un servizio 'pay', dubito che l'offerta sarà così cieca da tagliarsi le gambe imbottendo i contenuti di pubblicità. Piuttosto, con riferimento alla pubblicità interattiva e personalizzata e alla profilatura degli utenti, mi porrei un problema relativo alla privacy.
Posted by: robert castrucci | February 02, 2007 at 03:56 PM
In mezzo a tutte queste considerazioni tecnico legali ci si perde. Sul serio.
Vedo molta intelligenza in questi commenti, ma ciascuno, ho l'impressione, vede solo quello che vuole vedere.
E' chiaro, è solo una mia percezione, quindi può essere sbagliata; anch'io, predico bene (forse), e razzolerò (sicuramente) malissimo.
Però il digitale una cosa me l'ha insegnata: l'unica regola è che non ci sono regole tranne la fantasia. Mi ha anche insegnato a pensare orizzontale, quindi, perché ostinarsi ad innalzare pareti? "IP separa network da service.
le compagnie hanno la necessita' di scegliere:o netco o servco. non riusciranno a fare entrambe". Ma chi l'ha detto? Dov'è la formula inconfutabile? Apple è partita come società di computer ed ora è anche, e forse soprattutto, una media company. Non è la formula, è la mente. Apple c'è riuscita perché c'è molto sale dalle parti di Coupertino (e soldi ovviamente, ma qui li diamo per scontati), non altro.
In Giappone, tra i due colossi del videogame, ora come ora sta vincendo Nintendo, che invece che sulla potenza ha puntato sul cliente.
Abbiamo anche noti esempi di follia: Tutti parliamo di interoperabilità, il ministro Gentiloni fa un tavolo "italia digitale" dove tra le altre cose si parla di decoder unici o aperti ed interoperabili e: Sky ha il suo set-top-box, Telecom il suo, fastweb pure, e ora pure la Rai. Ma questi, quando si riuniscono, di cosa parlano?
Parliamo di multimedialità ma lo strumento multimediale più utilizzato oggi è il messenger, una chat. Anche Second life, che alla fine è una super chat, va veramente forte.
E allora, Quale futuro? Non lo so ma me lo voglio godere tutto. Messo proprio alle strette, penso che si debba partire dal contenuto, e che per avere il contenuto, ci vuole una cosa che non si compra tanto al chilo, cioè la mente.
Tutto il resto, a mio discutibilissio parere, sono "battaglie" tra orticelli. Ciascuno, inevitabilmente, tira l'acqua al suo mulino. E l'acqua delle società è uno solo: l'utile, e in funzione di questo ci si muove. Questo può portare a difendere un monopolio, o a tentare di scardinarlo; a proteggere irragionevolmente i contenuti, o a consentirne un uso indiscriminato.
Chi, al momento, occupa la casella dei buoni, si ammanta della bandiera dei "liberi", chi quella dei cattivi, si barrica dietro i diritti "inalienabili".
A me, interessa soprattutto una cosa: che noi utenti finali si possa scegliere. Questo è l'obiettivo vero, reale. Poi, ciascuno investa i propri soldi come meglio crede. E soprattutto, togliamo la parola "TV" dal nostro futuro. Questa è legata a noi, cresciuti in bianco e nero. Il futuro è, semplicemente, altro, e non ci appartiene, al massimo, ne potremo godere un pò. Però, prima di uscire, vediamo di lasciare le stanze pulite.
Posted by: Il casalingo di Voghera | February 13, 2007 at 01:48 AM